martedì 7 ottobre 2014

Capitolo 3: fraseologismi da gomitino

Simpatia portami via

Confesso: questo post ha una rincorsa molto lunga, comincia da questo tweet di Marco Cassini e relativi scambi.
Facciamo un gioco: scrivo una serie di parole voi pensate come completare la locuzione e io la scriverò precisa precisa. Tipo lettura del pensiero, dai. Pronti?

• Agricoltura [ --> biologica]

• Olive [ --> taggiasche]
• Digitale [ --> terrestre]
• Intese [ --> larghe]
• Grassi [ --> ecco, saturi o idrogenati? Vale uguale, non capisco la differenza]

Non ci si può più esimere dall'autocompletamento: nessun'oliva sarà mai più altro che taggiasca, nessun'agricoltura potrà esser altro che biologica. L'appartenenza a uno stile della comunicazione ci condizionerà per sempre. Esistono anche olive nere, denocciolate, tostate, ma quello che ne sa, beh, è colui che dirà: taggiasche. E tu, amico mio, lo sai. Vuoi ammettere che non compri solo prodotti di agricoltura biologica? No, non basta nemmeno: tu non riesci più a scindere i concetti di "agricoltura" e "biologica". È una distorsione della comunicazione: lo senti ripetere talmente spesso e nei contesti giusti che, ecco, è finita; fusione a freddo lessicale compiuta.


Lo stesso purtroppo vale per il 70% del contenuto social "figo": tutto quello che "i fighi" postano si riduce a una sequenza di costruzioni standard che chiameremo "fraseologismi da gomitino".


Dai, giochiamo: ecco qui un campionario per compilare il vostro post/tweet perfetto.


• Mo' ve lo buco 'sto XXXX

• XXXX ne abbiamo?
• Se dovete fare XXXX, almeno XXXX.
• E così mi dici che XXXX.
• Capisci che è XXXX perché XXXX.
• MadreH | PadreH | AmicaH eccetera
• XXXX solo se XXXX
• È che mi disegnano così
• Saluti da XXXX
• Sciao.
• Ciao. Sono quello/a che XXXX. Ciao
• Ciao. Io faccio XXXX. Ciao.
• Io esco, Maria.
• Ciao XXXX, adesso insegna agli angeli a XXXX (grazie Simona)
• Ciao. Qui è dove vi spiego XXXX (grazie Gaia)
• Dedicato a quelli/e che XXXX.
• Stanchezza (foto tette).
• Divano (foto tette).
• Gattini (foto tette).
• Serata (foto tette).
• Oggi così (foto tette).
• Tette (foto di tette disegnate/gattini/uomo).





















Ecco. Chi è senza peccato (o chi non è stato beccato) scagli la prima pietra. Io ho peccato, ma scaglio lo stesso.

Chi vuole aggiungere altri fraseologismi da gomitino utilizzi pure i commenti: vale tutto. Commentate a profusione. Altrimenti oh Maria, mobbasta, io esco.

venerdì 26 settembre 2014

Capitolo 2: il surreale del non-detto

>>> Guarda qui!


Immagina di tornare a casa, ad esempio dal lavoro (aspetta, me lo ricordo: cos'era? Ah, sì, quella cosa per cui si guadagnava). Torni dal lavoro, dicevo, e magari a casa c'è qualcuno che ti aspetta: una moglie, una fidanzata, un marito, un coinquilino che ti sta sulle palle… chiunque col dono della fonazione e con cui dividi un affitto. E costui, magari, è sinceramente contento di vederti; o comunque insomma, hai varcato la soglia dell'abitazione utilizzando le chiavi: non sarai uno sconosciuto. Avete vissuto, ovviamente, due giornate differenti.
Hai il quadretto? Un po' nostalgico, certo, ma è per rendere l'idea.
Ora, immagina questo dialogo.

Tu: Buondì, sono a casa!
Altro: Bentornato! Finalmente!
T.: E le ciabatte?
A.: scusa, le ho spostate in camera che ho pulito.
T.: (recuperi le ciabatte, torni in soggiorno)
A.: e insomma, com'è andata questa giornata?
T.: Oggi? Guarda, È SUCCESSA UNA COSA INCREDIBILE, SAI COSA MI HA PROMESSO IL CAPO?

E scappi a chiuderti in camera.
Sbirci nascosto sotto il letto. 
Conti le volte in cui tua moglie ti chiama.
Annoti le parole che usa per definirti, catalogando gli epiteti in complicati diagrammi.
Conti il tempo che passerà dal tuo urlo a quando si girerà la maniglia.
Conti le volte che la maniglia si aprirà.

La follia incarnata.

No.

È calare nella quotidianità extra-social i post dico-non-dico tanto cari alla comunicazione politica d'assalto, o al gossip più triste. Che peraltro, spesso, coincidono.

Quella cosa sempre uguale a se stessa, ripetuta allo sfinimento, una polvere pruriginosa che cosparge la comunicazione sui social network.

INCREDIBILE! GUARDA A CHI L'HA DATA LA MINISTRA BOSCHI! > segue link abbreviato malizioso tipo bit.ly/BoschiLaDa. 

Ovviamente si parlava della pratica sul Job Act, ma vuoi mettere così: click a palate, ads alle stelle, like e RT come piovesse. Poi chi se ne frega se centotrentamila allupati cliccano e restano, diciamo eufemisticamente, delusi.
Oh, ministra: se passi di qua sappi che eri solo l'esempio più semplice, eh. Se scrivevo LA IERVOLINO, chi legge non capiva; dai, su.

Io, nella vita reale, concepisco solamente una forma di dialogo in cui la feroce interruzione sul più bello ha una sua utilità pratica, quasi un senso supremo, una comunicazione portata ai massimi livelli. Quella di questo tipo: 


O sbaglio?



domenica 21 settembre 2014

Capitolo 1: dalla terza persona all'ultrasoggetto

Non ho capito, chi è che parla?


Quando mi sono iscritto a Facebook, quando ho iniziato ad approcciare Twitter, me lo sono lungamente chiesto. Perché gli strumenti di comunicazione più narcisistici che l’uomo abbia mai concepito, i social network, mi propongono come subdola regola di impostazione dei post la terza persona? “Daniele oggi è…”. Dai, che te lo ricordi anche tu. “Oggi è davvero stanco”, “Non ne può più delle ingiustizie”, “Ha mangiato un canguro vivo e lo stomaco sobbalza tentando di trasformarsi in marsupiale”. Leggevi questi status e ti chiedevi: ma precisamente, CHI? Di chi stai parlando? Del tuo amico immaginario, della tua seconda o terza personalità, del tuo vicino di casa che stai pedinando dallo spioncino?
Ovviamente la risposta era: di te stesso.
Facebook sembrava un raduno di familiari di Maradona. 



All’inizio ho pensato: geniale, così potrai incolpare qualcun altro di quel raptus suicida che ti ha fatto scrivere cagate spaziali senza riflettere sulle conseguenze.

Esempio di post:
 “LO RULLEREBBE DI MAZZATE, QUELLO STRONZO DI GIANLUCA!”
Chat seguente:
Gianluca (detto “er Trenincorsa”): scusa, chi rulleresti?
Autore: io? Nessuno.
G.: Cazzo dici?
A.: “lo rullerebbe” qualcuno che non so. Mi hanno detto. Ho sentito. Pare. Chi? [chiude la chat, cancella l’account, inghiotte il computer per cancellare le prove, emigra in Nagorno Karabakh]

Inutile dire che parlare come Giulio Cesare, per quanto ti incitasse a tirare fuori il Conte Serbelloni Mazzanti Viendalmare che abitava in un angolino del tuo ego, non poteva essere sufficiente a solleticare il tuo morboso autocompiacimento. I Mi piace o i follower conquistati di chi erano, precisamente? Tuoi o di quell’altro? E poi come farai a gestire quei terribili passati remoti o congiuntivi in terza persona (“crede che io vade… che io andi… che io vado”)? No, il gioco non valeva la candela.

Ecco quindi che dopo un – a dir la verità cospicuo – periodo di rodaggio, la terza persona è precipitata nel dimenticatoio. È stato bello riappropriarci improvvisamente di noi stessi.
Immagino il primo che avrà postato su Facebook lo status SONO FELICE!, seminando il panico tra i propri amici: “oddio, di chi sta parlando?”, “sarà lui davèro davèro?”, “E chi cazzo è questo Felice?”, “’Sono’ in senso plurale, vero? Sta parlando a nome del nucleo familiare?”. 

E così i social network sono diventati, finalmente, nostri. Oddio, finalmente: in realtà abbiamo solo stappato la nostra ansia di primeggiare in compagnia. Abbiamo ricevuto, come una cresima social, l’autorizzazione definitiva per urlare opinioni, anatemi, proclami e chiamate alle armi che per il 95% finiscono in un deserto che per miraggi da sbornia di rete immaginiamo ribollente di folla. “Come sto?”, “Firmate tutti!”, “Chiamo in causa (seguono file interminabili di chiocciole)”. Due o tre pollici versi un post ogni tre, un tweet ogni dieci, e noi col telefono in mano: che un tempo ci si parlava dentro, ora ti illudi di usarlo per comunicare.

Su, su. È solo il primo stadio. Ne usciremo tutti; e se non noi, i nostri figli.